sabato 23 aprile 2016

Merlot Romania


Prince Matei "Vinarte" - Annata 2010 

 
Cari amici; vi ricordate il post dedicato alle nuove frontiere del vino? Bene! Oggi il vostro Gulliver vi propone dalla sua cantina questo Merlot rumeno proviente da una zona alle pendici dei Carpazzi a pochi chilometri da Bucarest. In questi terreni argillosi solo a partire dalla caduta del blocco sovietico si è iniziato a produrre vino utilizzando in molti casi tecnici italiani che con il loro bagaglio enologico stanno portando i vini rumeni a buoni livelli.
  
Il colore rosso rubino inteso con riflessi granati frutto di un trattamento d'invecchiamento per dodici mesi in barriques usate, seguito da uno stesso periodo d'affinamento in bottiglia è il primo segnale che attesta una certa maturità di questo vino. 

Senza residui e con un'ottima limpidezza. 

La tannicità (14,5%) del vino già intuita osservandone il colore, viene confermata dalla cosidetta prova degli archetti che si presentano fitti e con una veloce evaporazione.  

 







In linea con l'esame visivo anche l'olfatto conferma la corposità del vino. Le note fruttate di sottobosco si sentono in maniera chiara e forte perdurando nel tempo; solo dopo un paio di minuti si fa largo un vago sentore di spezie derivato dall'invecchiamento in botte. 

Questa nota olfattiva coinvolge l'interno apparato olfattivo dando l'impressione di camminare in un prato dove more, ciliegie e ribes crescono liberamente. Intenso e persistente. 

 
Nel complesso ci troviamo ad un vino lavorato ed arrotondato dove le note erbacee del Merlot non si presentano. Corposo, ma nello stesso tempo mordibo e che non stufa se accompagnato da un buon piatto di carne. 


Vi ricordate la scheda sull'Aglianico? Bene! Anche in questo caso ho notato la presenza di un'alone rosso nel bicchiere dopo un breve risciacquo.



  
Alla prossima del vostro Gulliver.

sabato 16 aprile 2016

Piacentinu Ennese


Piacentinu Ennese


Cari topini dopo qualche mese tra i casari dell’Italia settentrionale si ritorna a Sud, nel profondo Sud; ed in particolare della provincia d’Enna tra le cime brulle dei Monti Erei e la valle del Dittaiono abitata da torrenti stagionali che si alimentano durante le piovose primavere. 

Questo microclima particolare rende la macchia mediterranea presente in zona particolarmente appetibile per quegli ovini dai quali viene prodotto il Piacentinu Ennese. 

 Molte storie girano intorno all’etimologia della parola Piacentinu.


 

 


Alcuni sostengono che sia la traduzione dal siciliano del verbo piangere perché legata al fatto che a maturazione quasi finita compaiono sulla crosta alcune lacrime di grasso da far sembrare che la forma pianga come un uomo.

Altri sostengono invece che sia frutto della traduzione dal verbo piacere perchè legata ad un fatto storico risalente intorno all'anno mille.
  

Il Piacentinu non è da confondersi con il pecorino allo zafferano che viene prodotto nelle stesse zone; si tratta di una produzione parallela a quella della Dop ennese ma dove viene usato anche latte vaccino oltre a quello di pecora.


La forma che stiamo osservando ha circa sei mesi di stagionatura. Lo zafferano viene immesso nella cagliata quasi a fine produzione.

L’aggiunta dello zafferano da quella di dolcezza che si contrappone a quel gusto d’acido dato dal latte di pecora.
 
Dalla pasta compatta e dal colore giallo intenso; in bocca risulta equilibrato.


 
 
Il pepe nero proviene dall’area del Borneo e molti sostengono che la sua aggiunta all’interno del Piacentinu sia frutto di quel retaggio enogastronomico lasciato dagli arabi prima di abbandonare l’isola. 
  
 
In commercio esistono forme più stagionate che arrivano fino a 10 mesi dove emergono note piccanti.


Per un formaggio di questa struttura consiglio un rosso vellutato non eccessivamente lavorato come un Merlot del Piave o della zona del Pordenonense. 

La lieve acidità e leggerezza di un Merlot giovane con le sue note erbacce rimuove la dolcezza in bocca data dallo zafferano.

Cari topini ancora una volta il vostro gulliver ha tentato di stupirvi presentandovi un’altra leccornia casearia italiana proveniente dalla Trinacria. Chissà dove la bussola punterà la prossima volta?



Alla prossima dal vostro Gulliver.

domenica 10 aprile 2016

Baccari


Baccari “Vigne del Colle” - Annata 2014
  
Cari amici, come vi avevo annunciato nell'articolo dedicato alla manifestazione di Stigliano, ho acquistato dall'azienda “Vigna al Colle” presente sui colli Euganei due suoi prodotti per ampliare la mia cantina personale. In particolare ho assaggiato il vino denominato “Baccari”

 Si tratta di un Pinot Bianco in purezza che ha subito un processo d'affinamento in botti d'acciaio per sei mesi. 

Il colore giallo paglierino intenso segnala che vi è stato una parziale attività di macerazione come avviene nei vini rossi. 

Dopo qualche minuto d'evaporazione emergono in maniera decisa ma delicata senza invadere troppo le narici note floreali che richiamano fiori d'arancio appena sbocciati. 

Questa nota olfattiva permane nel tempo perdendo efficacia senza però scomparire, ma facendo spazio a sentori minerali a causa del terreno dov'è stato coltivato.
 
 







Da sottolineare la presenza di un lieve fenomeno d'effervescenza con micro-bollicine che rimangono sulle pareti del bicchiere per scomparire solo dopo qualche minuto.

 


Al gusto una gradevole ma spiccata acidità pervade le papille gustative, questo fenomeno associato ad una buona tannicità (13%) sottolinea che ci troviamo di fronte ad un vino sii giovane ma di corpo.
 
 










L'acidità permane durante tutta la degustazione perdendo intensità nel lungo termine.

 Se non siete amanti di vini bianchi con una buona acidità ve lo sconsiglio. Ho notato la presenza di particelle in sospensione che “sporcano” la limpidezza del vino.
 

Nel complesso lo ritengo un vino gradevole d'accompagnamento per carni bianche od a pesci magri.

Alla prossima dal vostro Gulliver.

sabato 2 aprile 2016

Il Pannerone Lodigiano


Il Pannerone Lodigiano
  
I buoni banchettanti di Paneropoli credono....... se il loro caminetto splende prima di San Martino
(Ugo Foscolo) 

Cari topini, per parlarvi di questo formaggio dobbiamo rispolverare da quei “cassetti della memoria” come diceva un famoso presentatore alla televisione i nostri studi classici. Per nostra fortuna non dobbiamo rimembrare i versi di “A Zacinto” od avventurarci in una parafrasi "Dei sepolcri” ma semplicemente ricordarci del periodo di permanenza milanese del poeta. 

Ugo Foscolo impressionato dalla quantità di latte che dalle campagne giungeva a Milano decise di soprannominarla Paneropoli (città della panna). 

Questa citazione illuminata fu usata per definire questo formaggio prodotto a Lodi conosciuto anche come “il gorgonzola bianco”.
 
Siamo immersi nella profonda pianura padana tra allevamenti intensivi e zone industriali; quella che uno scrittore odierno definì “Oceano Padano”.

 Al giorno d’oggi, solo poche aziende agricole mantengono la tradizione casearia del Panerone o Pannerone lodigiano.

 

 
Prodotto con latte vaccino intero. 

La particolarità di questo formaggio risiede in un passaggio produttivo che prende il nome di “stufatura”. Questo processo favorisce sia la fermentazione, sia la diffusione di un’occhiatura diffusa ed abbondante che coinvolge l’intera forma.


Il Panerone si presenta con una forma cilindrica del peso di sei chili e con un diametro di trenta centimetri.

Oltre alla particolare nota amarognola che lo contraddistingue dagli altri prodotti caseari nazionali; al gusto si presenta privo di sale.

Il colore bianco avorio conferma la freschezza del formaggio che viene consumato poco dopo la sua breve stagionatura.

 
  

Questo formaggio a causa della sua forte specificità trova pochi estimatori.

 Inoltre risulta difficile inserirlo all’interno di pietanze più o meno complesse; solo alcuni ristoratori del lodigiano sono riusciti ad adattarlo all’interno di alcune pietanze locali. 

 
Una chicca casearia del genere richiede un vino d’accompagnamento altrettanto particolare come può essere il San Colombano al Lambro. Un vino bianco; fresco e con note aromatiche giovani che potremmo paragonare ad un Incrocio Manzoni. 

 


 Ovviamente questo prodotto caseario non rientra nelle DOP italiane come i suoi predecessori; ma ho voluto comunque parlarvene perché mi ha particolarmente colpito per il suo modo di essere controcorrente.

Alla prossima dal vostro Gulliver.