Robiola di Roccaverano
“Un paese ci vuole, non
fosse che per il gusto di andarsene via”
(Cesare Pavese, la Luna è
i Falò)
Come per la scheda sul
Pecorino Toscano anche oggi scomodiamo un altro scrittore della nostra
tradizione letteraria: Cesare Pavese. Siamo nel luogo recentemente
entrato nell’elenco dei cinquanta paesaggi da salvaguardare secondo
l’Unesco: le Langhe. Questa lingua di terra, formata da
colline verdi dalle forme più variegate a causa
del lavoro d’erosione del Tanaro e del Bormida, si dimostra
una ricca miniera di bontà enogastronomiche. Nello specifico ci
troviamo a Roccaverano nella provincia astigiana per ammirare l’unica
DOP caprina riconosciuta: la Robiola di Roccaverano.
Ottenuta con latte crudo di capra
a coagulazione acida
si presenta in forme da 300 grammi ed è reperibile solo tra marzo e
natale in rispetto dei cicli astrali degli animali. Esiste anche una
versione con l’aggiunta dell’origano selvatico.
Una piacevole acidità tipica del
latte caprino dovuta anche alla breve maturazione (60 giorni) emerge
al taglio.
La robiola si presenta morbida,
quasi friabile e di un colore bianco candido. Una volta tagliata
oltre all’acidità, affiora il profumo dell’erba di campo brucata
dalla capra.
Per accompagnare questa robiola consiglio un bianco fresco e giovane come un Incrocio Manzoni che con le sue note zuccherine di pesca ed albicocca contrasta l’acidità del latte di capra.
Cari amici topini anche oggi vi
siete leccati i baffi con un’altra leccornia casearia del nostro
Bel Paese. Chissà la prossima volta dove il mio naso mi spingerà?
Ai roditori l’ardua sentenza.
Alla prossima dal vostro Gulliver.
Nessun commento:
Posta un commento